Stefania Boleso

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Intervista a Massimo Lucentini - Direttore Generale Todis

Ho conosciuto Massimo Lucentini poco più di un anno fa. Mi ha colpito da subito la sua grande professionalità, il suo pensiero sempre chiaro e lineare, anche in riferimento a temi complessi e difficili. Proprio per questo motivo gli ho chiesto di essere mio ospite, perché potesse condividere con noi la sua esperienza e il suo punto di vista su questo periodo di emergenza.

Buongiorno sono Massimo Lucentini, Direttore Generale di Todis dalla metà del 2016 e precedentemente Direttore Sviluppo dal 2011.
Chi, o meglio cosa è Todis? È una catena di supermercati monomarca fortemente orientata ai freschi ed alla prossimità, presente nel centro sud Italia con quasi 250 punti vendita.
Cosa ha di particolare? Che vuole rappresentare un’alternativa alla GDO tradizionale, attraverso un assortimento più ampio del discount (canale di provenienza, visto che l’insegna nasce 1999 proprio come soft discount), ma più snello e conveniente del supermercato, senza rinunciare ai freschi assistiti. Si tratta di una formula che sta avendo un ottimo risultato.
Perché sempre più clienti ci scelgono? Perché garantiamo una spesa veloce, completa e conveniente con un carrello che può attestarsi 25-30 punti sotto lo stesso carrello del supermercato. Basti pensare che nel 2019 siamo stati la prima insegna d’Italia come crescita a parità di rete.

Photo credits: Markus Spiske

  • Cosa significa occuparsi di Grande Distribuzione alimentare in un periodo di emergenza come questo?

Per rispondere alla sua domanda credo sia utile fare il punto su quali siano stati (ed in buona parte continuano ad essere) gli aspetti critici di covid-19 per la GDO e come questi abbiano impattato tutta la supply chain. 

Le sfaccettature sono davvero molteplici ed hanno investito aspetti normativi, organizzativi, di comunicazione, logistici, fino a toccare anche aspetti psicologici dei singoli individui che compongono la catena. Abbiamo assistito in un breve periodo - tra DPCM e Ordinanze varie - ad una proliferazione, talvolta non coordinata di norme (nonché di interpretazioni di norme e di FAQ varie) dirette al contenimento del contagio. Solo questo ha richiesto un notevole sforzo presso le sedi delle aziende e presso i punti vendita. Norme e procedure nuove, spesso non codificate (vi lascio immaginare il panico generato dall’idea di dover affrontare un contagio da covid-19 presso un punto vendita o peggio in una piattaforma logistica). 

Sono state necessarie revisioni organizzative per far sì che l’attività potesse andare avanti, ma in sicurezza, garantendo le prescritte distanze e la disponibilità dei cosiddetti DPI (dispositivi di protezione individuale), guanti e mascherine, la cui domanda globale, schizzata alle stelle, ha fatto sì che fossero praticamente irreperibili sul mercato e comunque a prezzi all’ingrosso cresciuti anche dal 200% al 400%. Qui si è avvertita davvero la mancanza di un piano organico di coordinamento dell’emergenza da parte del Governo (che pure devo dire ha fatto la sua parte), Enti Locali, pubblica amministrazione, organi di controllo, associazioni di categoria e parti sociali in genere. In alcuni momenti è sembrato davvero che ognuno andasse per suo conto. 

Abbiamo messo in campo tanta comunicazione in più. Questo è quello che come azienda abbiamo ritenuto giusto fare verso i nostri punti vendita. Cercando di tenere la rete sempre aggiornata rispetto alle novità normative ed alle procedure da mettere in atto, per cercare di garantire la salute nostra e dei nostri clienti. In questi casi ritengo che comunicare sia determinante per trasmettere tranquillità e fiducia (credo tra l’altro che sia quello che il nostro Presidente Conte abbia cercato di fare sin dall’inizio della crisi).

Altro mal di testa quotidiano? La logistica. Insieme ai punti vendita è stata l’area maggiormente sotto stress. Le merci, a dire il vero, non sono mai veramente mancate (tranne alcune referenze come l’alcool). Oggi (seconda metà di aprile) probabilmente la situazione sta ulteriormente mutando, poiché alcune merci legate alle produzioni agricole (vedi passata di pomodoro) stanno realmente iniziando a scarseggiare. 

Le immagini che abbiamo visto in tv nel mese di marzo di scaffali vuoti nei supermercati sono fenomeni le cui spiegazioni vanno cercate altrove* (*alcuni fenomeni di accaparramento iniziale e mancato allineamento dei sistemi di riordino automatici). Certo è che l’aumento della domanda di alcuni beni di prima necessità (le farine ad esempio cresciute del 108% su base mensile) hanno fatto sì che i fornitori talvolta non riuscissero a stare dietro ad ordinativi crescenti, messi in ulteriore difficoltà da problematiche legate alla produzione (norme sul distanziamento degli operai, malattie, operatività ridotta di alcune funzioni) e ai trasporti, specie quelli internazionali a causa delle quarantene imposte agli autisti che venivano a consegnare in Italia. È dunque saltato per certe referenze il concetto di giorni di copertura, dovendo ricorrere ad una “guida in manuale” dei livelli di stock e delle ripartizioni sui punti vendita. 

Last but not least l’e-commerce. Tra marzo ed aprile tutta la GDO (presente sull’on line) si è resa conto del potenziale del canale e contemporaneamente di quanta strada deve essere ancora percorsa nella direzione dell’efficienza. A marzo ci siamo ritrovati con un volume di ordini 11 volte  più grande di febbraio. La nostra piattaforma www.todisacasa.it ovviamente non era pronta a tali volumi di traffico. Abbiamo avuto grandi difficoltà e abbiamo dato disservizio ai nostri clienti. 

Anche in questo caso la scelta di comunicazione è stata quella del dialogo diretto con i nostri clienti, ai quali abbiamo scritto scusandoci e spiegando le difficoltà sostenute e le contromisure prese. Medesima scelta è stata presa anche da Esselunga che infatti ha un rapporto davvero molto forte con i suoi clienti.     

Mai come in questo caso non possiamo non ricordarci poi, che le aziende sono fatte di individui, di persone, che hanno famiglie, figli, genitori e che stanno vivendo e lavorando con il peso dell’ansia del contagio. Famiglie che da oltre un mese hanno i figli in casa, famiglie che magari hanno perso una parte del reddito. Dobbiamo quindi immaginare un contesto di scarsa serenità, che certo non aiuta ad affrontare bene gli eventi.   

In un tale contesto a volte ci siamo trovati a fare anche da (pseudo)psicologi e da consiglieri di collaboratori, che hanno ricercato nei loro capi un punto di riferimento, talvolta anche per questioni del tutto personali. 

  • Qual è il messaggio più importante che ha cercato di trasmettere ai suoi collaboratori durante queste settimane?

Che stavamo governando la crisi. Non c’è cosa peggiore di avere la certezza di essere in uno stato di pericolo ed avere la sensazione che nessuno stia governando gli eventi. Ma il governo degli eventi, inteso come analisi e valutazione dei rischi potenziali e definizione delle contromisure organizzative e di processo (attività tipiche del crisis management), non basta. Perché non basta? Mi consenta un esempio. Siamo nel mezzo di un volo molto turbolento, il personale di bordo si dà un gran da fare per assicurarsi che tutti i passeggeri abbiano le cinture allacciate, che i tavolini siano chiusi, etc, etc. Sappiamo, dentro di noi, che i piloti in cabina stanno facendo del loro meglio affinché tutto vada come deve. Ma cosa ci fa sentire veramente tranquilli in questi momenti? La voce del comandante, che ci spiega cosa sta succedendo e cosa sta facendo per portarci al sicuro. Ecco, il “segreto” è la comunicazione. In azienda opera lo stesso meccanismo. Tanto verso i dipendenti, quanto verso tutti gli stakeholder (proprietà, affiliati, clienti). Fondamentale è fornire una corretta e continua comunicazione atta a mostrare che si sta gestendo la crisi con adeguate contromisure. 

Nel caso specifico del covid-19 pesa poi anche un aspetto personale di preoccupazione per la propria incolumità e per quella della propria famiglia. Un manager deve essere disposto (e vi assicuro che non sempre è così) a trovare il tempo e la freddezza di pensare ai suoi collaboratori, inviare conferme circa l’importanza del lavoro individuale e complessivamente di quello dell’organizzazione di cui si fa parte. Credo che mai come in questo momento nella GDO si sia realizzato di essere “fornitori” di un servizio primario per la collettività.

  • Qual è invece il messaggio principale che avete voluto trasferire ai vostri clienti?

Siamo un’insegna di prossimità e per noi il rapporto umano con i clienti e la presenza sul territorio non rappresentano elementi di una strategia di marketing, ma fanno parte del nostro reale vissuto quotidiano. Anche sulla comunicazione non possiamo che essere molto concreti e sul pezzo rispetto a quello che i nostri clienti da noi si aspettano. Ovviamente in momento particolare come questo il cliente Todis si attende socialità responsabilità. Vuole che siano rispettati questi principi al punto da diventare addirittura protagonista nelle scelte del suo “fornitore”.

Per capirci le porto l’esempio di come nasce l’iniziativa del “carrello sospeso” tra Todis e Croce Rossa italiana. Bene, questa nasce dai clienti. Una mattina di marzo ricevo una telefonata da un affiliato romano che mi dice: “Sai, ci sono clienti che vorrebbero acquistare e lasciare sul punto vendita dei generi alimentari per chi ne ha bisogno, possiamo farlo? Noi tra l’altro avremmo contatto con la Croce Rossa del municipio, che passerebbe a ritirarseli...” Ecco, questa è la nostra realtà. Da qui, dall’ascolto (vero) dei clienti da parte dei nostri imprenditori e dall’ascolto (vero) da parte nostra dei nostri imprenditori, nasce un’importante iniziativa sociale. 

Tornando al marketing, come sostiene Kotler nelle sue regole del retail 4.0: il digitale è tutto, ma non tutto è digitale e l’essere umano è ancora la “killer app”.

  • In queste settimane abbiamo visto tanti player dell’industria e della distribuzione esporsi con messaggi pubblicitari (a pagamento), per ringraziare i propri collaboratori. Qual è la sua opinione in merito?

Credo che nell’ultimo mese ogni azienda, ogni imprenditore, ogni manager abbia ritenuto doveroso ringraziare i propri collaboratori che, nonostante tutto, hanno continuato a dare il loro contributo all’interno dell’organizzazione (anche mettendosi in ferie forzate).
Immaginate il personale dei punti di vendita, che ha continuato a servire centinaia di clienti al giorno, esponendosi costantemente al rischio del contagio. Come non provare ammirazione nei loro confronti? 
Ritengo dunque che l’esigenza di esternazione della propria gratitudine, almeno per come l’abbiamo vissuta qui da noi, abbia una natura del tutto genuina. 
Utilizzare questa situazione di crisi come parte di una strategia di employer branding però, credo non solo pecchi di bon ton, ma addirittura possa essere controproducente. 
Francamente e personalmente non ho molto apprezzato il modo di comunicare di alcune aziende che hanno “sbandierato” i loro ringraziamenti, facendo addirittura investimenti in comunicazione. Così come non ho apprezzato la rincorsa alle iniziative di responsabilità sociale “urlate” sui media, quasi fossero un nuovo terreno di competizione. 

Ma per carità, ognuno ha il suo stile di comunicazione.   

  • Mi permetta una domanda di scenario: secondo lei, cosa succederà a livello di consumi degli italiani una volta che la quarantena sarà finita e si entrerà nella cosiddetta “fase due”?

In relazione ai consumi post-crisi condivido quanto ha teorizzato uno studio di ricerca, ovvero della possibilità del verificarsi di due scenari alternativi: uno euforico (il cosiddetto revenge spending, basato sull’esperienza cinese) ed uno conservativo (reset spending). 
Secondo il primo i consumi ripartirebbero con saggi crescita uguali se non più sostenuti di quelli pre-crisi, spinti da un certo sentimento di rivalsa e di voglia di recuperare il tempo perduto. Il modello conservativo, viceversa, è quello del “facciamo tesoro della brutta esperienza”, mettiamo in discussione il modello di consumo e forse anche di vita precedente. 

Mio personale parere è che il primo scenario sarà certamente prevalente, ma dovremo fare i conti con il reddito disponibile dei consumatori.
Il FMI proprio in questi giorni ha diffuso le previsioni di primavera e, se a livello globale i danni all’economia sono notevoli, nell’area Euro il paese più colpito è proprio l’Italia (seconda solo alla Grecia). Si parla di una contrazione di oltre 9 punti di PIL per il 2020 e di un aumento della disoccupazione dal 10 a quasi il 13%. Il focus quindi si posta quindi dal volere al potere (consumare). Potremo permetterci di consumare come prima? 

Certamente la distribuzione sta vivendo (al di là dell’andamento non uniforme di tutti i formati con gli iper e i cash in difficoltà e la prossimità in forte crescita) un momento espansivo. Anche qui ho letto diversi punti di vista con riferimento alla crescita del mercato della GDO, ma credo che l’unico attendibile sia quello legato allo stop del mercato della ristorazione fuori casa che in Italia vale oltre 80 miliardi di Euro. È chiaro che fintanto che bar, ristoranti, mense, etc, non riapriranno del tutto, il consumo alimentare casalingo continuerà ad essere superiore agli anni precedenti. Vorrei ricordare che negli ultimi anni la quota dei consumi alimentari è sempre cresciuta a spese dei consumi casalinghi. 

Resta comunque un fatto: il reddito disponibile e dunque i consumi degli italiani, non potranno essere nel breve pari a quelli pre-covid. Ovviamente molto dipenderà dalla spesa pubblica, ma se le ipotesi di tensioni finanziarie globali prospettate dall’FMI, si tradurranno in una contrazione anche degli investimenti, questo sarà un ulteriore elemento depressivo dell’economia Italiana e mondiale.