Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere

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Ho conosciuto C. durante un corso di formazione. Titolare di una piccola azienda, è arrivato in aula molto prevenuto ed è uscito dal corso abbastanza convinto che sul web si possano fare cose interessanti. Per me già un gran successo. Ogni tanto ci sentiamo ancora e tra le righe mi sembra di leggere un pessimismo cosmico di matrice leopardiana (da qui, forse, il titolo del post). Ecco il nostro ultimo scambio di mail:

LUI - La situazione di crisi ha bloccato tutti gli investimenti IO - In teoria la crisi dovrebbe rafforzare gli investimenti in marketing/comunicazione: girano meno soldi, ci sono (forse) meno clienti, quindi un'azienda dovrebbe cercare il modo migliore per emergere, differenziarsi dagli altri e farsi vedere, evitando di competere solo sul prezzo o ridurre lo spending. E invece spesso succede il contrario e si alimenta così un circolo vizioso...  LUI - Condivido questo tuo ragionamento (la crisi dovrebbe rafforzare gli investimenti in marketing/comunicazione) ma poi dalla teoria alla pratica il percorso è difficile, doloroso e rischioso! IO - Perché difficile? Perché bisogna crederci. Quanto al doloroso e rischioso, né più né meno che in altri momenti. Anzi, meno, perché a non fare nulla in un momento di crisi si rischia di più rispetto all'immobilismo in periodi floridi, quando tutti vendono e fanno business…

Non mi ha più risposto.

I suoi pensieri sono simili a quelli di tante altre aziende italiane in questo periodo. Realtà che si chiudono a riccio, aspettando che il peggio passi. Ma siamo sicuri che sia la soluzione migliore? La crisi non può essere vista come un’opportunità per reinventarsi e addirittura crescere, andando in controtendenza?