Il mio Super Bowl

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Non mi piace il football americano, eppure anche quest’anno mi sono guardata tutti gli spot trasmessi durante il Super Bowl. E’ un’occasione unica per addetti ai lavori e appassionati di comunicazione, un po’ come i Cannes Lions: con un palcoscenico di centinaia di milioni di telespettatori e investimenti da capogiro (4 milioni di dollari per mandare in onda uno spot da 30”), ci si aspetta di vedere lavori di qualità.

Personalmente ho visto molti spot con i classici testimonial o con vecchie glorie rispolverate per l’occasione (…ma Schwarzenegger come si è ridotto?), e tanti temi già proposti e in alcuni casi addirittura riproposti, come la guerra, la pace, i veterani, l’American pride -per dirla alla Bob Dylan.

Ma si sa, il Super Bowl è un evento di massa e la pancia del Paese apprezza molto queste cose.

Se ci fosse ancora la necessità di ribadirlo, lo storytelling è decisamente il grande trend del momento, la parola di moda, come sostengo spesso in occasione dei miei corsi (l’altro termine di moda è gamification, ma ne parleremo in un’altra occasione). E allora tutti a buttarsi sullo storytelling, con risultati più o meno memorabili: talvolta ho avuto l’impressione che le storie fossero molto belle, ma l’inserimento del prodotto nella narrazione apparisse piuttosto forzato.

Morale: non dovete per forza raccontare storie; se lo fate e le vostre storie emozionano, pensate anche a come inserire il vostro prodotto in maniera credibile, in modo da non farlo apparire una forzatura. Altrimenti forse è il caso di lasciar perdere.

Lo spot che mi è piaciuto di più è stato quello di Coca Cola.

La  bevanda americana per eccellenza ha sfruttato la visibilità garantita dal Super Bowl per allontanarsi dal rassicurante messaggio della Happiness Factory, stimolare la conversazione e far parlare di sé con uno spot dove un cast multietnico canta “America is beautiful” in otto diverse lingue. Per chi se lo fosse perso, eccolo qua:

Ho trovato un gesto coraggioso quello di voler rappresentare il melting pot che compone gli Stati Uniti; il cittadino americano “standard” non esiste, un po’ come la famiglia del Mulino Bianco da noi, eppure nessun grande brand fino ad ora aveva avuto il coraggio di dichiararlo in maniera così esplicita, attraverso un messaggio così forte.

Non aver paura di rischiare, cercare di differenziarsi dagli altri per rendersi memorabili… Ecco cosa può davvero farvi emergere. Anche in un’arena competitiva affollata come quella del Super Bowl.

Sempre sul tema, vi segnalo il post di Paolo Pugni un professionista che come me si è divertito a guardare con occhio critico tutti gli spot del Super Bowl: un punto di vista diverso, spunti sicuramente interessanti. Buona lettura!