Pubblicità ai tempi del coronavirus: il caso Barilla

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Confesso che quando ho visto i ringraziamenti di Barilla a doppia pagina sul Corriere della Sera la scorsa settimana ho avuto un cosiddetto “mal di pancia”; per usare un’espressione inglese: “It didn’t feel right”.

Il mio primo pensiero non è stato: “Guarda che bravi questi di Barilla, che addirittura comprano due pagine sul Corriere per ringraziare con nome e cognome i propri dipendenti”, quanto piuttosto: “Vedi quando hai tanti i soldi cosa puoi fare… Addirittura comprare due pagine del Corriere per farti pubblicità (usando come scusa un ringraziamento pubblico ai dipendenti)”.

Poi sono andata su LinkedIn e inizialmente sembrava una gara a chi facesse più complimenti a Barilla: “bravissimi”, “eccezionali”, “grazie” e cose del genere (poi per fortuna ho letto anche qualche critica). La prima cosa a cui ho pensato (in maniera poco politically correct, lo ammetto) è stata: “Tutta questa gente probabilmente vuole andare a lavorare per Barilla, oppure vendergli qualche consulenza, e con tutte queste lodi sta cercando di catturare l’attenzione”. Davvero non capivo il perché di tutto questo entusiasmo, paragonato al mio evidente disagio.

Quello che la gente sembrava non aver capito è che la comunicazione di Barilla non era destinata ai dipendenti, ma ad altri stakeholder, per riuscire ad inserirsi nelle conversazioni di queste settimane legate all’emergenza, così come avevano già fatto (in altri modi), i vari Giovanni Rana (di cui ho scritto la scorsa settimana), Leonardo Del Vecchio, etc.

Allora ho fatto quello che faccio spesso in queste situazioni: ho chiamato la mia amica Benedetta Gargiulo, copywriter e consulente di comunicazione, per avere un suo parere .
Ne è scaturito un confronto molto interessante, ricco di spunti di riflessione per tutti, così le ho chiesto scrivere qualcosa.

Stamattina sul Corriere ho visto un’altra pubblicità a pagina intera che scimmiottava Barilla, mi sono quindi resa conto che le riflessioni di Benedetta sono più attuali che mai…

Passo dunque la parola a lei.

“Sono tante le aziende che in questo momento fanno campagna di branding a “tema pandemia”. Dal punto di vista della comunicazione, è normale: i consumatori sono totalmente assorbiti dalle notizie sull’evolversi del virus e delle sue conseguenze, per dedicare sufficiente attenzione ai classici messaggi di beni e servizi. Insomma, non puoi pensare di vendere il tuo gelato con il carretto, su una spiaggia dove la gente sta scappando dalle orche assassine.
L’unica cosa che puoi fare, è urlare dal carretto: “Forza, ce la faremo!” e dimostrarti solidale con quelle persone.
Così vediamo Mazda che ci ricorda di come anche loro, i Giapponesi, hanno avuto un momento tragico nella loro storia, da cui si sono rialzati e hanno trovato la forza di ricostruire le loro vite: dopo Hiroshima hanno compiuto lo stesso miracolo che augurano a noi, una volta superata la crisi attuale.
Oppure Levissima che fa riferimento a un nuovo tipo di “scalata” da affrontare insieme.
Cose così. Messaggi che parlano con delicatezza di un “noi”, di aziende che stanno sullo stesso piano delle persone. 

Poi c’è Barilla, che compra due pagine intere del Corriere, per scriverci i nomi di tutti i suoi dipendenti che in questo momento stanno continuando ad andare a lavorare. E dice: “Grazie, dipendenti. Siamo orgogliosi di voi!”
Un po’ come se il gelataio dal carretto gridasse alle persone che scappano dalle orche assassine: “Volevo dire grazie a Pasquale, che sta guidando il mio carretto in questo momento!”

Molte persone non hanno gradito. È stata una pagina pubblicitaria che ha provocato più di un mal di pancia, perché è sembrata ambigua: vuoi ringraziare i tuoi dipendenti? Utilizzi gli opportuni strumenti di comunicazione interna, l’intranet, le e-mail, una lettera, se vuoi essere romantico. Se invece compri due pagine del Corriere, allora non ti stai rivolgendo ai tuoi dipendenti, ma ai tuoi consumatori: ti stai facendo pubblicità in modo autoreferenziale. La scelta del canale di comunicazione è anch’essa parte del messaggio che dai.

Non solo. L’approccio creativo che gioca sull’ambiguità della lista di nomi e cognomi, quasi si trattasse di eroi a cui rendere omaggio, fa discutere. Sicuramente, chi in questo momento lavora nella filiera alimentare è più a rischio di chi sta a casa a ordinarsi la cena a domicilio, ma possiamo azzardare l’analogia con i medici e gli operatori sanitari in prima linea contro la pandemia? Possiamo annacquare così il concetto di eroismo? A giudicare dalle reazioni del pubblico, forse no.

E infine c’è anche un problema di voce narrante: NOI siamo fieri di VOI. A VOI, il NOSTRO grazie. Che è un po’ come dire che chi lavora per il bene del Paese sono i dipendenti, mentre la proprietà che fa? Niente. Oddio, nulla di nuovo rispetto a ciò che direbbe qualsiasi sindacalista, ma insomma, ammetterlo addirittura su una pagina pubblicitaria pagata migliaia di euro è eccessivo. Forse, un maggiore coinvolgimento, l’uso di un plurale maiestatis, avrebbe reso la voce narrante un po’ meno distaccata dalla realtà.
Avrebbero potuto scrivere: “Volevamo ringraziarci per il grande lavoro che stiamo facendo”. Ma sarebbe risultato grottesco, e probabilmente la pubblicità non sarebbe uscita. E questa poteva essere una buona soluzione”.