Mansplaining - quando gli uomini ci spiegano le cose...

Photo credits: Brooke Lark

La giornalista Lily Rothman ha definito il mansplaining “una spiegazione fatta da un uomo a una donna, senza tener conto del fatto che chi spiega ha meno competenze di chi ascolta" (fonte Wikipedia).

In altre parole, ogni volta che un uomo ci spiega come deve essere svolta una determinata attività, pensando di saperne di più sull’argomento per il solo fatto di essere uomo, siamo in presenza di mansplaining.

Ogni donna sa esattamente di cosa parlo, perché ha subito il mansplaining in svariate occasioni…
Non bastano gli studi, le lauree, o semplicemente i numerosi anni di esperienza in un determinato campo o settore di attività… L’uomo, quando la sua controparte è una donna, nella stragrande maggioranza dei casi pensa di saperne più di lei.

Bene, l’ultimo esempio di uomini che ci spiegano le cose mi è balzato agli occhi pochi giorni fa: un importante centro di formazione organizzerà a breve un corso dal titolo: “La leadership femminile: quando il capo è donna”, dove il docente è, ça va sans dire, un uomo.

Sì, avete capito bene: un uomo insegna la leadership femminile ad una platea di sole donne (uniche destinatarie del corso). 

Leggendo il programma, vengo a sapere che l’obiettivo è quello di aiutare le donne a:

  • approfondire il concetto di leadership

  • prendere consapevolezza degli ostacoli che limitano lo sviluppo della loro carriera e individuare i mezzi che possono favorirla

  • apprendere tecniche per contrastare stereotipi e pregiudizi che ne limitano la crescita

  • individuare uno stile di leadership in linea con una vision

Un uomo spiega a delle donne come diventare leader, contrastando stereotipi e pregiudizi che ne limitano la crescita, senza rendersi conto che un corso del genere contiene già in sé un forte pregiudizio.

Andando a vedere i dettagli, scopro che gli argomenti affrontati saranno i seguenti:

  • Perché, se una donna vuole fare carriera, deve smettere di (sor)ridere

  • Il ruolo del fascino nello sviluppo della leadership

  • Perché la bellezza può rivelarsi un handicap

Io non so se ci saranno delle partecipanti. Mi auguro proprio di no. 
Non credo che all’alba del terzo millennio noi donne abbiamo bisogno di uomini che ci spieghino come essere leader. Abbiamo bisogno invece, e urgentemente, di uomini che si tolgano dai posti di comando, per lasciare spazio anche alle donne, spesso molto più preparate di loro, ma alle quali, guarda caso, vengono offerte sempre meno occasioni di promozione e crescita.

Ci sarebbe anche un gran bisogno di donne che tengano corsi destinati esclusivamente agli uomini su come cambiare stile di leadership, essere più inclusivi, su come accettare e favorire le differenze, anziché cercare di azzerarle a favore di un’omologazione che ormai è anacronistica e non aiuta la crescita delle organizzazioni.

Seminari dove si insegna che sorridere va bene, che essere belli o brutti poco importa, perché i fattori premianti sono le competenze e vince il merito, dove si dice chiaramente che il fascino non è importante, perché siamo tutti diversi, e di conseguenza ciò che una persona trova affascinante, per altri non lo è, e l’unica cosa che davvero conta è avere a che fare con individui onesti e validi.

Ultimissimo pensiero: dovessi iscrivermi ad un corso di leadership femminile, sicuramente vorrei una donna come docente. Possibilmente Angela Merkel, che, per inciso, ho visto spesso sorridere nel corso di tutti questi anni.

Dopo aver fatto tutte queste riflessioni, concentrate in 5 minuti, ne ho parlato con Benedetta Gargiulo, che condivide da anni con me uno sguardo attento (spesso impietoso) sulle tematiche femminili in generale e in particolare su quelle in contesti lavorativi. Questo il suo commento: 

“Io sono laica. Laicissima. Penso che un educatore all’asilo nido possa essere tranquillamente maschio, così come un ginecologo, un badante, un estetista. Allo stesso modo questi professionisti possono essere perfettamente in grado di spiegare a qualsiasi platea come fare bene il loro lavoro. A uomini e a donne.

Qui però c’è un uomo – preparatissimo e in gamba, ne sono certa – che non spiega la leadership e basta: qui c’è un uomo che spiega la leadership femminile. E c’è una bella differenza. Ma il punto non è solo questo. È una questione di comunicazione: cosa comunica un corso sulla leadership femminile tenuto da un uomo? Ontologicamente proprio. A me, comunica che abbiamo già perso in partenza.

Come si rivolgerà il docente alle partecipanti quando darà le linee guida da seguire, consigli pratici, evidenze? Dirà “Voi…” dirà “Le donne, voi donne…”. Mancherà un percorso condiviso, un noi, un modello di riferimento virtuoso. Mancherà quel senso di sorellanza che guarda caso è proprio uno degli elementi divisivi che nelle aziende ostacolano le carriere delle donne, a differenza dello spirito “di spogliatoio” in cui si muovono i colleghi.

Forse, tra cent’anni, la questione della leadership femminile non sarà più un topic e potrà essere trattata in senso generale da docenti uomini o donne in maniera indifferente. Oggi no. Non è affatto indifferente.”

Voi che ne pensate?